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Formazione

Comunicazione Non Violenta come strumento quotidiano?

Comunicare significa mettere in comune ed è quello che facciamo costantemente e continuamente: “Non si può non comunicare” (primo assioma della comunicazione di Watzlawick, psicologo esponente della Scuola di Palo Alto). Se ci pensate, non potrebbe essere diversamente. Quante volte vi è capitato di provare imbarazzo durante i momenti di silenzio? Eppure nessuno vi stava dicendo qualcosa. Quante altre il silenzio è stato rassicurante? Questo accade perché, come sappiamo bene, non comunichiamo solo con le parole.

La comunicazione è un processo di interazione che viene mediato dalla parola e che è costituito da altri elementi:

  • l’emittente;
  • il canale;
  • il messaggio;
  • il codice (insieme di segni e simboli condivisi, es. linguaggio verbale)
  • il destinatario.

Chiaramente, è anche dipendente dal contesto, dalle caratteristiche di ciascuno degli elementi citati, dal tipo di relazione, dai ruoli dei comunicanti al momento dell’interazione.

Alla luce di ciò, è evidente che si può comunicare in diversi modi più o meno efficaci ed adatti alla situazione.

Esistono più comunicazioni, quindi? No, esistono diverse modalità comunicative.

La Comunicazione Non Violenta

Una di queste, è la Comunicazione Non Violenta, chiamata anche comunicazione empatica, linguaggio giraffa, comunicazione collaborativa o semplicemente modello di Rosenberg (l’allievo dello psicologo Carl Rogers a cui si deve questa modalità comunicativa).

Perché la giraffa?

La giraffa è stata scelta come simbolo del modello comunicativo  in contrapposizione allo sciacallo (animale carnivoro emblema dell’aggressività) perché :

  • è un animale erbivoro
  • ha il collo lungo (ha quindi una visione ed una visuale “alta” delle cose)
  • è un mammifero col cuore grande (aspetto metaforicamente legato all’ascolto ed all’empatia)

Ciascuno di noi può essere sciacallo o giraffa, sono due tendenze innate che abbiamo e siamo noi a scegliere quale alimentare (non consapevolmente, c’è una forte influenza ambientale).

Ciò che dobbiamo tenere a mente è che il modo in cui comunichiamo è espressione del grado di soddisfazione dei nostri bisogni.

Come si legano i bisogni e CNV

La CNV si basa sull’assunto che tutti gli esseri umani hanno la capacità di esprimere compassione ed utilizzano la violenza (verbale o fisica, aggressività diretta o indiretta) quando non riconoscono e, dunque, non sono capaci di attuare strategie in grado di permettere la soddisfazione dei propri bisogni (bisogni fisiologici, d’affetto e stima, bisogno di appartenenza, sicurezza e autorealizzazione).

Se pensiamo ad un episodio che ci ha fatto arrabbiare o sentire tristi è sicuramente collegato alla non soddisfazione di uno dei nostri bisogni. Quindi, la Comunicazione Non Violenta può essere uno strumento utile per vivere meglio.

ragazza seduta che piange con una donna che le mette la mano sulla spalla

CNV come può essere utile?

Per sapere come la CNV può esserci utile, dobbiamo conoscere le “tappe” da cui è costituita e tenere a mente che il linguaggio e il modo in cui ci serviamo delle parole hanno un ruolo cruciale nel riuscire a rimanere collegati empaticamente a noi stessi e agli altri.

Le “tappe” della CNV sono le seguenti:

  • osservazioni;
  • sentimenti;
  • bisogni;
  • richieste.

Vediamo insieme cosa si intende, tenendo a mente tre aspetti cardine della CNV, ovvero l’auto empatia (ascolto di se stessi); l’empatia (ascolto dell’altro); l’autoespressione onesta (esprimere in maniera autentica i propri bisogni)

Il Processo di Comunicazione Nonviolenta

Auto-empatia, l’ascolto di se stessi: Esprimere onestamente come sono e come sto io senza incolpare né criticareEmpatia, ascolto dell’altro: Ricevere empaticamente come sei e come stai tu senza sentire una colpa o una critica
OSSERVAZIONI
1. Le azioni concrete che osservo (vedo, odo, ricordo, immagino) e che contribuiscono (o non contribuiscono) al mio benessere:
Quando io (vedo, sento…)”
1. Le azioni concrete che tu osservi(vedi, odi, ricordi, immagini) che contribuiscono (o non contribuiscono) al tuo benessere:
Quando tu (vedi, senti…)”
SENTIMENTI
2. Come mi sento in rapporto a queste azioni: “mi sento…”2. Come ti senti in rapporto a queste azioni:“ti senti…?”
BISOGNI
3. L’energia vitale nella forma di bisogni, valori, desideri, aspettative o pensieri che stanno causando i miei sentimenti:
perché ho bisogno di…”
3. L’energia vitale nella forma di bisogni, valori, desideri, aspettative o pensieri che stanno causando i tuoi sentimenti: “perché hai bisogno di…?”
RICHIESTE
Richiedere con chiarezza ciò che potrebbe arricchire la mia vita, senza pretenderloRicevere empaticamente ciò che potrebbe arricchire la tua vita senza sentirvi una pretesa
4. Le azioni concrete che vorrei fossero intraprese: “e vorrei che tu…”4. Le azioni concrete che vorresti fossero intraprese: “e vorresti che io…?”
Fonte: https://www.villaggioempatico.it/comunicazione-nonviolenta

Questo processo ci consente di:

  1. scoprire e riconoscere che abbiamo bisogni ed emozioni;
  2. comprendere che ci sono bisogni universali che ci uniscono;
  3. acquisire più consapevolezza dei nostri pensieri e comportamenti;
  4. entrare in contatto con noi e con gli altri
  5. distinguere e fare chiarezza tra ciò che vediamo e l’opinione che diamo a ciò che vediamo.

Tutto ciò ci torna utile in qualsiasi ambito della nostra vita, anche quello professionale.

(fonte: https://www.villaggioempatico.it/comunicazione-nonviolenta)

Infatti, potrebbe essere uno strumento da utilizzare per risolvere e/o prevenire conflitti.

Forse è questione di prospettive?

“Non ho mai visto un uomo pigro,

ho visto un uomo che non ha mai corso

mentre lo stavo guardando, e ho visto

un uomo che talvolta faceva un sonnelllino

tra pranzo e cena, e che rimaneva

in casa in un giorno di pioggia,

ma lui non era un uomo pigro. Prima di chiamarmi pazza,

pensateci, lui era un “uomo pigro”

o faceva soltanto cose che definiamo pigre?

Non ho mai visto un bambino stupido;

ho visto un bambino che ha fatto

cose che non ho compreso

o cose in modi che non avevo previsto;

ho visto un bambino che non aveva visto

quegli stessi luoghi dove ero stata io,

ma non era un bambino stupido.

Pensateci: lui era “un bambino stupido”

o soltanto sapeva cose diverse da quelle che sapevate voi?

(…)

Quello che alcuni chiamano pigro

altri lo chiamano stanco o bonario,

quella che alcuni chiamano stupidità

altri la chiamano soltanto una diversa conoscenza.

Così sono giunta a una conclusione,

che se non mescoliamo ciò che vediamo

con quella che è la nostra opinione, ci salveremo dalla confusione.

E questo, lo so

è ancora soltanto la mia opinione“.

Ruth Bebermeyer

Irene Saya

Psicologa del lavoro e del benessere nelle organizzazioni (n iscrizione Ordine Piemonte 9396) Inseguo la mia passione per il mondo HR “come fosse l’ultimo autobus della notte” (T. Guillemets). Sarà per questo che dalla Trinacria sono arrivata a Milano facendo tappa nella città della Mole e non conosco la mia prossima destinazione? Già! Dopo la laurea col massimo dei voti ottenuta con una tesi su un progetto di formazione innovativo in FCA, mi sono occupata di recruiting e di progettazione di interventi formativi in piccole aziende fatte da grandi persone che mi hanno arricchita umanamente e professionalmente, insegnandomi a cogliere la bellezza collaterale degli imprevisti. Adesso sono una recruiter di profili IT. Il mio motto è: “Ci saranno sempre pietre sulla strada davanti a noi. Saranno ostacoli o trampolini di lancio; tutto dipende da come le usiamo” (Friedrich Nietzsche).

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