Fine ferie, che emozione! La “Sindrome da Rientro”
“Nessuno ha più bisogno di una vacanza come chi ne ha appena fatta una”
Elbert Hubbard
Per la maggior parte di noi è da poco terminata la pausa estiva; quindi, siamo carichi per il rientro a lavoro? Probabilmente no, anzi! E’ arduo riprendere la routine, ricominciare. Arduo, soprattutto se ci siamo spostati fisicamente ed abbiamo cambiato stile di vita e modalità di gestione del tempo. Dunque, basterà soltanto iniziare. In che modo? In modo graduale. E’ questo il punto.
Cosa fare per affrontare meglio il rientro al lavoro?
Potremmo:
- porci degli obiettivi S.M.A.R.T. cioè Specifici, Misurabili, A(chievable) raggiungibili, Rilevanti, Temporizzabili;
- dedicarci a fare qualcosa di rilassante che facevamo in vacanza (es. leggere, passeggiare);
- mangiare cibi che aumentano i livelli di serotonina e dopamina, utili per il miglioramento dell’umore;
- evitare di ridurre drasticamente le occasioni di socialità.
La post vacation blues, ovvero la sindrome da rientro
Basterà? No, non basterà. Non è una formula magica e potremmo sentirci tristi, nostalgici, spossati, avere dei sintomi somatici (es. mal di testa). Gli inglesi considerando questi aspetti parlano di “post- vacation blues”, cioè di “sindrome da rientro”. Ovviamente non è un disturbo psicologico, può considerarsi una sindrome in quanto insieme di sintomi: nessuna malattia e nessuna cura. Quindi?
L’unica cosa che possiamo fare è lavorare pianificando e definendo le priorità senza ignorare il modo in cui ci sentiamo.
Sentire: le emozioni sul luogo di lavoro
Le nostre emozioni sia positive sia negative vanno accolte, non ignorate.
Può sembrare paradossale affrontare il tema delle emozioni sul luogo di lavoro, ma non lo è. Non lo è perché siamo persone che lavorano, siamo persone non automi.
Siamo e-motivi, ovvero mossi dalle emozioni (etimo e= da, moveo= mosso) in ogni ambito della nostra vita. Essere emotivi non ha una connotazione negativa, come siamo abituati a pensare a causa della psicologia del senso comune che lo intende come reazione sproporzionata agli eventi. Esser emotivi vuol dire sentire, percepire le proprie emozioni ed è legato all’intelligenza emotiva e chiaramente alla capacità di regolazione emotiva (quando è scarsa allora la persona appare emotiva nell’accezione comune).
Infatti è fondamentale imparare ad ascoltarsi per poter superare i momenti in cui facciamo fatica a svolgere azioni di vita quotidiana come appunto determinate mansioni durante l’orario di lavoro o il fatto di dover rientrare dalle ferie.
Chiediamoci e rispondiamoci sinceramente
Perché fatichiamo? Perché siamo svogliati o demotivati? Perché vorremmo già essere a casa? Perché siamo già stanchi? E’ solo una questione di abitudini o è una questione più profonda legata ad aspetti specifici del nostro lavoro?
Indubbiamente possiamo fare qualcosa!
Possiamo decidere se essere attivi o passivi in questa situazione e, se vogliamo, abbiamo anche la possibilità di “rimodellare il nostro lavoro” (https://www.corsielavoro.it/articoli/lavoro/cambiare-il-lavoro-senza-cambiare-lavoro-il-job-crafting/). Questo vale per qualsiasi tipo di lavoro, proprio perché ci sono sempre componenti cognitive (anche se svolgiamo lavori manuali, pensiamo qualcosa e ci approcciamo ai compiti in un determinato modo), motivazionali ed emotive. Si tratta di un ragionamento astratto solo in apparenza.
Siete convinti del contrario, o che per voi non funzionerà?
Pensate siano solo parole e che non valgano per ogni tipologia di lavoro? Rimanete pure nella vostra convinzione, lo scopo non è quello di convincervi del contrario. Lo scopo è quello di stimolare una riflessione sul vostro lavoro e su quello che significa per voi. Voi che lavorando state facendo i conti col vostro sentire (emozioni, sensazioni, bisogni primari e secondari).
L’emotional labor
Questo “sentire” da cui non potete prescindere in nessun ambito della vostra vita. Credete sia insensato associare il lavoro alle emozioni? No, non lo è. Per ciò chi si occupa di risorse umane dovrebbe tener presente che le gestione lavorativa è anche gestione emotiva/lavoro emozionale (emotional labor, cfr. Hochschild, 1979; Domagalski 1999) e noi lavoratori dovremmo acquisire consapevolezza del fatto che è normale provare emozioni sul luogo di lavoro. Basta pensare ad esempio alla:
- rabbia nei confronti di un collega o del capo;
- sorpresa per una notizia;
- tristezza per la fine delle ferie;
- gioia per una promozione;
- paura di sbagliare;
- paura di un cambiamento gestionale.
Siamo emotivi.
Il ruolo delle emozioni è evidente dall’emergente attenzione per:
- le “competenze emotive”;
- l’intelligenza emotiva;
- il job involvement (cos’è?);
- il clima organizzativo;
- il commitment;
- il team working;
- la motivazione.
Dunque, sembrerebbe che ci sia una crescente consapevolezza del ruolo delle emozioni nella sfera professionale. Difatti come ben spiega Fineman (Emotion in Organizations, 2000), le organizzazioni costituiscono delle “arene emozionali” (emotional arenas) per catturare la frenetica attività delle emozioni vissute nella vita organizzativa.
Questo non dovrebbe stupirci perché le organizzazioni sono insiemi di persone ed “in azienda si incontra la persona che lavora” (Boria, Muzzarelli 2016), la persona nella sua integrità e completezza. Ciò è implicito anche nel concetto di ferie.
Il concetto di ferie
Perché le ferie sono necessarie per il nostro benessere, quindi sono legate alle emozioni positive. Questo aspetto è intrinsecamente presente anche nella Costituzione italiana. Ecco quel che si vuole intendere affermando che il concetto di ferie si riferisce anche ad ognuno di noi in quanto persona, nonostante sia un aspetto poco sviluppato, valorizzato e dibattuto.
Infatti, l’art.36 co.3 della Costituzione statuisce “Il diritto di ciascun lavoratore a godere di un periodo annuale di ferie retribuite, al fine di consentire il recupero delle energie psicofisiche e soddisfare esigenze personali e familiari”.
Allora?
Speriamo che questo recupero ci sia stato poiché adesso dobbiamo lavorare e le vacanze sono ormai un ricordo. Un ricordo di cui parliamo con i colleghi dando voce alle nostre emozioni e magari raccontando qualche aneddoto. Presto racconteremo le nostre giornate lavorative, forse con meno enfasi ma pur sempre emozionandoci (anche la rabbia è un’emozione, anzi è un’emozione primaria).
Infatti “le organizzazioni sono arene emotive, […] gli attori organizzativi recitano drammi intonati di volta in volta alla noia, rabbia, invidia, ansia, compassione, gioia, contentezza, e quando i singoli si concedono di raccontare le loro giornate di lavoro in modo autentico quasi confessionale, ecco allora che si intravede la trama emotiva che caratterizza la vita organizzativa” (Benozzo, Piccardo 2010)
Le ferie sono finite
Non ci resta che dire cosa succedeva e succede nelle nostre giornate, pensare a quel che è stato e quel che sarà, emozionarci.