Frustrazione e lavoro

Panta rei è l’affermazione di Eraclito che tutti conosciamo per motivi di studio o semplicemente per sentito dire.
Significa che tutto è transitorio e che il cambiamento è l’unica costante.
Fino ad un anno fa, forse, molti di noi credevano che comunque esistesse una stabilità ed il cambiamento fosse una sorta di perturbazione.
Adesso è chiaro ed evidente che non è così: tutto è in mutamento e continuerà ad esserlo, anche la realtà lavorativa. Il mondo del lavoro, esattamente come gli altri ambiti della nostra vita, si sta definendo in linea con le contingenze della New Normal verso la Next Normal (termini che indicano la provvisorietà del concetto di normalità, evidenziando l’imprescindibilità e la necessità del cambiamento), ragion per cui alcune professioni scompariranno e ci saranno nuove professioni ad oggi inesistenti. Quindi? Prendiamo consapevolezza di ciò in quanto naturale conseguenza del fluire degli eventi.
Teniamo a mente che il cambiamento è ciò che contraddistingue anche noi, cambiano:
- le nostre emozioni;
- le nostre parole;
- i nostri pensieri;
- il nostro vissuto;
- i nostri desideri;
- i nostri bisogni fisici e psicologici;
- i nostri comportamenti.
Come reagire al cambiamento?
Perché non dovrebbe cambiare anche ciò che ci circonda? Il punto è come reagiamo a questo cambiamento e come ci sentiamo in relazione ad esso. Cosa possiamo fare, quindi?
Nell’ultimo anno la percezione maggiormente diffusa è stata di non poter fare nulla. Si è diffuso un senso di impotenza unitamente al senso di impossibilità di agire, decidere, fare ed all’assenza di prospettive future. Siamo stati ostacolati nella soddisfazione di bisogni o di desideri. Questo a prescindere dall’avvenire in modo temporaneo o permanente determina uno stato psicologico che prende il nome di frustrazione.
Dunque, sentirsi frustrati e/o arrabbiati è assolutamente normale!
Per quanto riguarda il lavoro, in un primo momento può sembrare paradossale, ma la frustrazione può essere esperita anche da chi è inoccupato, disoccupato o inattivo (i cosiddetti NEET, Neither in Employment or in Education or Training o anche “Not (engaged) in Education, Employment or Training“). Infatti costoro sono ostacolati nella soddisfazione di bisogni come ad esempio quelli di autorealizzazione, di autonomia, di stima, di appartenenza a loro volta connessi con desideri, aspirazioni ed emozioni.

Si tratta di un aspetto importante da considerare quando parliamo del mondo del lavoro ed è un elemento particolarmente rilevante per il suo cambiamento che dovrebbe avere tra gli attori principali i giovani di oggi. Per quanto riguarda loro, dall’ultimo rapporto dell’Unione Europea basato sui dati Eurostat, emerge che in Italia i NEET sono il 20,7%, quasi il doppio della media europea (11,6%). A questo dato specifico bisogna aggiungere che, senza alcun riferimento preciso ad una fascia d’età, secondo stime preliminari dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) la crisi economica e del lavoro causata dal COVID-19 potrebbe incrementare la disoccupazione nel mondo di quasi 25 milioni. Il quadro delineato è sconfortante e sentirsi frustrati è uno degli effetti che ne derivano.
Finora non abbiamo avuto scelta su cosa cambiare, il cambiamento è stato imposto dalla pandemia, ma possiamo sempre scegliere come cambiare. In che modo?
Iniziamo riconoscendo la frustrazione come legittima e normale.
Evitiamo di rimproverarci.
Cambiamo prospettiva di osservazione:
“Quella che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo lo chiama farfalla”
(Lao Tzu)
Facciamo qualcosa, qualsiasi cosa ci obblighi a fare in modo attivo (cucinare, pulire, videochiamare qualcuno, allenarsi, cercare annunci di lavoro o creare un video curriculum etc.) quindi non mettiamo in atto comportamenti passivi (es. mangiare mentre guardiamo la tv).
Ricordiamoci che gli ostacoli fanno parte del nostro percorso di vita.
“Quando soffia il vento del cambiamento alcuni costruiscono dei ripari, altri costruiscono dei mulini a vento”.