fbpx
Lavoro

La psicologia del lavoro serve davvero?

“Sfortunatamente per la psicologia, tutti pensano di essere psicologi.”

                                                                                         

   J. Piaget

La psicologia viene spesso considerata un affascinante sviluppo della filosofia, un qualcosa di interessante e non necessario ed utile. Eppure negli ultimi tre anni, è evidente che non abbiamo solo un corpo e che il nostro sentire ed il modo in cui interpretiamo gli eventi si ripercuote su ogni ambito della nostra vita. Forse la mente non è più una sconosciuta o forse sta iniziando a non esserlo più.

Quello che proviamo e sentiamo, le nostre emozioni sono presenti quotidianamente anche mentre lavoriamo ed influenzano anche i nostri comportamenti (non a caso emozione deriva da e-moveo, essere mosso da/spinta al pensiero ed all’azione).

Il nostro essere umani, essere persona è qualcosa di imprescindibile che dovrebbe essere sempre valorizzato e preso in considerazione. Non possiamo mai mettere da parte la nostra parte emotiva e la componente psicologica degli eventi e delle azioni.

Come funzionano le aziende e le organizzazioni

Questo vale anche sul lavoro. Infatti, le aziende sono organizzazioni, ovvero gruppi di persone: senza le persone non esisterebbero. Ecco perché dovrebbe essere applicata la psicologia ed esistono: quella sociale, quella dei gruppi e la psicologia del lavoro e del benessere delle organizzazioni. Purtroppo, sono discipline ancora in parte sottovalutate nonostante siano fondamentali per la produttività dell’azienda.

Le organizzazioni sono costituite da persone reali e, per questo, sono quotidianamente attraversate da emozioni come invidia, gioia, rancore, ansia e frustrazione. Non vi è accordo sulla definizione scientifica di emozione: la stessa può essere descritta come uno stato affettivo intenso e di breve durata associato ad una causa esterna o interna al soggetto.

Le emozioni hanno una natura dinamica, con una fase iniziale che evolve fino all’attenuazione delle stesse. Sono incerte, ambivalenti e spesso intrecciate tra loro in una fitta trama. Infine, sono sempre accompagnate da modificazioni fisiologiche, espressioni facciali e comportamenti caratteristici a seconda di ciò che si prova e della situazione.

Le organizzazioni sono arene emotive o emozionali (emotional arenas), dove le emozioni sono rappresentate (performed) a favore di un pubblico (capi, colleghi, clienti, i concorrenti) che si intende influenzare, spaventare, impressionare con la propria esibizione.

Tale metafora drammaturgica implica che l’esibizione delle emozioni (emotional display) non è sempre il frutto di un impulso incontrollabile, ma può servire (e spesso serve) per sostenere, aumentare o destabilizzare l’ordine organizzativo.

Le organizzazioni: modelli e funzioni

Come afferma Fineman le organizzazioni sono arene emotive, in cui i sentimenti provati dai singoli danno forma ad azioni e decisioni e, viceversa, azioni e decisioni modellano le emozioni.

All’interno delle organizzazioni gli attori recitano un copione a seconda dell’emozione provata, ma queste emozioni non si esprimono apertamente: esse vengono alla luce quando gli individui accettano di raccontare le proprie giornate di lavoro in modo autentico.

Solo allora si intravede la trama emotiva che caratterizza la vita organizzativa”(Arisci). Una trama emotiva presente anche se e quando non viene esplicitata. Quindi, gestire delle persone, significa entrare in contatto con loro e gestire le loro emozioni. A tal proposito, difatti, si parla di emotional labour (HochSchild) cioè lavoro emozionale che consiste nel “controllo dei sentimenti per creare manifestazioni corporee e facciali osservabili pubblicamente.” 

“Questo è il mondo in cui viviamo: quando si parla di economia, le persone provano emozioni.”

                    

Schiller
persone che parlano sedute di fronte

Quanto appena scritto è psicologia, non ha nulla a che fare con l’economia eppure è un aspetto del management. Un management efficace ed efficiente deve tenere in considerazione non soltanto i numeri ma anche le persone (che in quanto tali sono caratterizzate dagli aspetti cognitivi (es. Pensieri sulle mansioni, riflessioni sul lavoro), dagli aspetti emotivi (es. il significato che attribuiscono alle attività, la paura di sbagliare, emozioni derivanti dalla vita persone) e dagli aspetti relazionali (es. il rapporto con i colleghi e con i superiori).

“Nel lavoro i colleghi che dipendono gerarchicamente da noi sono persone con le quali lavorare, non strumenti da utilizzare per i nostri fini.”

                                                                        

            A. Zirilli

Ricordare che siamo persone tutti indipendentemente dal ruolo ricoperto potrebbe essere la chiave del buon funzionamento di un’azienda e probabilmente l’ideale sarebbe che ci fosse una persona che riconosce e conosce il valore delle risorse umane sia dal punto di vista individuale (cioè del soggetto) sia dal punto di vista relazionale sia da quello di gruppo (insieme delle risorse umane, sia insieme di più persone).

La maggior parte di noi trascorre gran parte della propria giornata sul luogo di lavoro ed inevitabilmente le emozioni ed i pensieri che facciamo hanno un impatto sulla nostra vita privata e questa, ovviamente, influenza a sua volta lo svolgimento del lavoro.

Il ruolo della worklife balance nelle emozioni

Ecco perché si sente parlare di work life balance (equilibrio vita professionale e vita personale) ed effetto spillover (effetto “traboccamento” per cui quel che accade in ambito lavorativo condiziona la nostra vita non professionale e viceversa).

Un altro punto su cui riflettere per rispondere alla domanda sull’utilità della psicologia sul lavoro e, dunque, della psicologia del lavoro è dato da quello che viene definito Teorema di Thomas:

“Se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze”

Teorema di Thomas

Ciò significa che la percezione della realtà influenza davvero la realtà e si spiega con quella che il sociologo Merton chiama “profezia che si autoavvera”, ovvero col fatto che noi inconsapevolmente assumiamo dei comportamenti che poi confermano la nostra idea iniziale.

Questo perché “gli uomini non rispondono solo agli elementi oggettivi di una situazione, ma anche, ed a volte in primo luogo, al significato che questa situazione ha per loro. E una volta che essi hanno attribuito un qualunque significato ad una situazione, questo significato è la causa determinante del loro comportamento e di alcune conseguenze di questo”.

Ed ecco che ritornano aspetti caratteristici del fatto di essere una persona. Non daremo una risposta diretta al titolo, ma ognuno risponderà in base agli input forniti ed alla propria soggettività. Magari per qualcuno la psicologia resta un argomento stimolante da leggere e privo di utilità e di applicazioni pratiche, per qualcun altro la risposta sarà “dipende”  e per altri sarà un “sì, ma non ci sarà” o un “sì”. Chissà!

Irene Saya

Psicologa del lavoro e del benessere nelle organizzazioni (n iscrizione Ordine Piemonte 9396) Inseguo la mia passione per il mondo HR “come fosse l’ultimo autobus della notte” (T. Guillemets). Sarà per questo che dalla Trinacria sono arrivata a Milano facendo tappa nella città della Mole e non conosco la mia prossima destinazione? Già! Dopo la laurea col massimo dei voti ottenuta con una tesi su un progetto di formazione innovativo in FCA, mi sono occupata di recruiting e di progettazione di interventi formativi in piccole aziende fatte da grandi persone che mi hanno arricchita umanamente e professionalmente, insegnandomi a cogliere la bellezza collaterale degli imprevisti. Adesso sono una recruiter di profili IT. Il mio motto è: “Ci saranno sempre pietre sulla strada davanti a noi. Saranno ostacoli o trampolini di lancio; tutto dipende da come le usiamo” (Friedrich Nietzsche).

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Pulsante per tornare all'inizio