Smart working: che cos’è e come è organizzato

A causa dell’epidemia di COVID-19 lo smart working è diventato la misura più adottata dalle aziende per ridurre le possibilità di contagio nei luoghi di lavoro.
Ma di cosa si tratta esattamente e in che cosa consiste? Approfondiamolo insieme.

Avevi già sentito parlare di smart working, ma in questi giorni lo stai sperimentando in prima persona a causa della diffusione in Italia del Coronavirus. Nella legge pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 22 maggio 2017 è elencato tra le “misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale” e tra quelle che ne favoriscono l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato. Non è inteso, quindi, come una nuova tipologia di contratto, bensì come una particolare modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, caratterizzata da maggiore flessibilità per orari e sedi. Centrale l’uso degli strumenti informatici e l’assenza di una postazione fissa durante i periodi di lavoro, svolti anche al di fuori dell’azienda.
Nella fattispecie, qual è la definizione di Smart Working? Ebbene, letteralmente questo termine può essere tradotto dall’inglese come “Lavoro intelligente”. In italiano comunque, è appropriato definire lo smart working come lavoro agile, che può essere svolto da casa, non recandosi in ufficio. Ma ci sono altri dettagli in merito a questo argomento da scoprire. Ecco quello che devi assolutamente sapere sullo smart working e sulle sue varianti, oltre a leggere gli altri articoli in tema qui.
Per la retribuzione non cambia nulla.
Il lavoratore ha diritto a ricevere un trattamento economico e normativo non inferiore a quello applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le stesse mansioni all’interno dei locali aziendali.
Facciamo chiarezza sulla definizione
Nonostante la definizione sia ormai delineata, rimane ancora qualche dubbio sullo smart working e chi riguardi. Attivato sia dalle organizzazioni profit che no-profit, non è una scelta del singolo professionista freelance, il quale lavora costantemente da remoto, con orari flessibili, utilizzando i propri dispositivi e avendo come postazione un coworking, la scrivania di casa, il tavolino di un bar o quello posizionato su un treno. È per questo che è sbagliato definire i lavoratori freelance “smart workers” e di conseguenza assimilare lo smart working al lavoro da casa. In tal caso, è appropriata la definizione di “home working” o “remote working”, una modalità abituale di lavoro “nomade”.
Le differenze tra smart working, remote working, agile working e flexible working
L’evoluzione del mondo del lavoro era già in atto, ma con il contenimento dell’epidemia di COVID-19 alcuni cambiamenti hanno subito un’accelerazione. La necessità di non recarsi nei luoghi di lavoro fisici ha contribuito a confondere alcuni concetti già ambigui prima della diffusione del Coronavirus, attribuiti erroneamente allo smart working.
Il flexible working, per esempio, come lo smart working prevede una certa flessibilità, ma consiste in orari di entrata e uscita variabili, alternanza tra full-time, part-time e lavoro a progetto e si concretizza in forme contrattuali alternative o lavoro con partita iva.
Il remote working si riferisce al lavoro da remoto, racchiudendo in sé anche il telelavoro. A differenza dello smart working può essere la modalità di lavoro abituale di un freelance che usa anche piattaforme come Skype o i social network per comunicare con colleghi e clienti.
L’agile working,invece, descrive pratiche di ottimizzazione delle risorse, in grado di ridurre sprechi e garantire agilità nei rapporti lavorativi attraverso lo snellimento della burocratizzazione e la possibilità di variare i piani a seconda delle esigenze. Una prospettiva comune agli obiettivi che anche lo smart working si prefigge; un approccio al lavoro che riguarda lo smart working pur non costituendo una misura di lavoro subordinato.
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