Valorizzare gli studi umanistici anche nella “caccia del data science”

Le competenze più ricercate nel mondo del lavoro oggi
Indubbiamente i laureati in materie Stem -acrononimo che sta per Scienze, Tecnologia, Ingegneria, Matematica– sono ricercatissimi nel mercato del lavoro da ogni tipo di realtà, che sia un’azienda finale, corporate, appartenente a qualsiasi industry.
Basti pensare che a cinque anni dal conseguimento del titolo (faccio riferimento a un’analisi Almalaurea su 30.500 laureati di secondo livello), il tasso di occupazione è pari al- l’88,3%, 4,5 punti oltre il campione esterno e i laureati in discipline Stem dichiarano, in media, di percepire una retribuzione mensile netta pari a 1.595 euro, il 13,3% in più ai 1407 euro incassati dai laureati non Stem.
E le materie umanistiche?
Se i migliorati laureati in STEM sono ricercati, anche le lauree umanistiche non sono a rischio automazione e non verranno distrutte dalla rivoluzione digitale, anzi i nuovi trend dimostrano come ne possano uscire rafforzate.
La tendenza nella Silicon Valley è proprio quella di assumere scienziati sociali, marketer, psicologi del lavoro, storyteller e in effetti, vi lancio una sfida: andate a vedere le posizioni aperte di colossi in ambito tech e vedrete che è vero, cercano laureati in sociologia, in psicologia e non solo per occuparsi di risorse umane, ma anche in settori in forte crescita come il design thinking o il neuromarketing.
Però, il laureato e il professionista del codice umanistico non si può limitare solo alle competenze tradizionali, non può permettersi di essere aggiornato solo sulla sua professione: serve una capacità di ibridazione. A Steve Jobs quando chiedevano il segreto della Apple rispondeva citando la capacità dell’azienda nel posizionarsi tra le scienze e le arti liberali, valore aggiunto che ha trasferito poi nel DNA dell’azienda: erano tanti i “tecnologi” eccellenti come lui (per esempio Bill Gates) e anche i designer creativi, ma nessuno collegava la poesia con i processori come Jobs.

Dunque, l’ibridazione tra codice umanistico e informatico è una sfida per la formazione e non una guerra fredda. Occupandomi di selezione per una grande azienda in ambito tecnologico e digitale, con un focus particolare su laureandi e neolaureati, mi sono trovata spesso a mappare e a attingere da bacini provenienti da facoltà magistrali realmente ibride tra la psicologia e informatica, dove si approfondiscono tematiche molto attuali e inerenti il mondo User Experience e User Interaction, l’ergonomia cognitiva o l’interazione uomo macchina. Il mio consiglio è di trovare la vostra passione e di inseguirla: abbiamo la fortuna di poterci formare e cogliere nuove opportunità in ogni minuto, la formazione continua diventa un fortissimo strumento di crescita personale e professionale!
Lazlo Book, uomo d’affari e attuale CEO di Humu, che ha guidato per dieci anni le People Operations di Google, valutando più di 25000 curricula già nel 2016, dichiarò che la politica delle assunzioni stava cambiando radicalmente: dopo un decennio dall’ingresso delle risorse non vi era più alcuna relazione tra il rendimento professionale e l’origine accademica. Questa evidenza è emersa attraverso l’analisi di numerosi indicatori utilizzati per valutare le performance dei neoassunti, in primis la rapidità con cui le nozioni hard acquisite perdessero rilevanza, ciò significa che le attività da svolgere e, dunque, le competenze necessarie per farlo cambiano a una velocità mai vista.
Acquisire competenze ricercate nel mondo del lavoro
Quindi, io consiglio di affrontare i propri studi con massima serietà, approfondire e formarsi continuamente perché vi permette sia di capire la vostra area di competenza in cui dare in un futuro il vostro contributo e, soprattutto, di acquisire un mindset che vi permetta di essere flessibili e aperti al cambiamento. Per questo, anziché parlare di hard e soft skills, mi piace parlare di competenze a prova di futuro.
In questa visione, le competenze tecniche sono inscindibili, rappresentano il “cosa” l’attività, hanno una natura specialistica, sono verticali e specifiche e sono difficili da elencare, proprio perché il numero di competenze tecniche per ogni settore è illimitato e diverse capacità tecniche nascono con l’ingresso di nuovi saperi, tecnologie e strumenti. Dunque, è fondamentale essere in grado di trasformare le proprie competenze tecniche in abilità e avere la capacità di usarle in modo efficace in un contesto specifico.
Invece, le soft skills sono molto studiate e analizzate nei contesti aziendali e di management e si dividono in competenze intrapersonali (motivazione, problem solving, creatività, gestione dello stress) e interpersonali (comunicazione, empatia, negoziazione, persuasione e leadership).
Sempre una ricerca di Almalaurea, dimostra come per i ragazzi neolaureati per inserirsi nel mondo del lavoro sia molto importante la fiducia in sé stessi, il livello di autonomia e la proattività.
La soft skill più utile ora?
Oggi, penso che la soft skill più “a prova di futuro” debba essere il team working, valutata perché quasi ogni iter di selezione prevede almeno in uno step l’assessment di gruppo, che prevede delle prove tra cui la più diffusa è la discussione e risoluzione di un business case. E’ ancora più determinante perché potenzialmente la risorsa si troverà a collaborare 8 ore al giorno, in modo completo e continuativo, senza mai di persona il proprio team. L’ufficio evapora e i colleghi sono liquidi.
Dunque, tutti noi siamo tenuti a gestire il nostro lavoro e il valore che questo può portare nel team impedendo che ci sia un’evaporazione anche delle relazioni.